Talking about | deserti.
La lettura di "Ologramma per il re" è stata veloce, ma con qualche ostacolo.
Di Eggers conoscevo solamente "L'opera struggente di un formidabile genio", romanzo che sento mio come pochi altri, e che, chiaramente, avevo adorato. Le mie grandi aspettative in questo caso non sono state ugualmente mal riposte, tuttavia, mi ha lasciato un po' di amaro in bocca.Più volte durante la lettura mi sono resa conto di quanto mi sentissi letteralmente trascinata con ben poco entusiasmo in qualcosa di molto, molto prevedibile. E fin qui potremmo anche esserci. Questa storia di preannuncia abbastanza kafkiana, con il suo protagonista, Alan Clay, consulente della Reliant, che viene inviato in Aurabia Saudita per convincere Re Abdullah ad acquistare un marchingegno per produrre ologrammi.
Ma il re non c'è mai, l'attesa appare infinita. Ebbene, avevo capito dove si andava a parare, e va bene, la prevedibilità è quasi dovuta, ma non per questo deve esserci dell'ovvietà.
Questa è la pecca che mi ha fatto storcere il naso, mi ha fatto inutilmente sperare che forse avevo capito male io, invece no. C'è qualcosa di banale che si respira, e mi dispiace.
Perché è un romanzo veramente bello. Eggers è riuscito a dare la giusta forma al suo minimalismo, costruendo attese infinite e spazi vuoti, immacolati.
Le giornate di Alan sono fatte di colloqui che non arrivano, colleghi annoiati, e lettere alla figlia, dove viene fuori l'uomo stanco e irrilevante che è divenuto. Ha fatto fallire l'azienda in cui lavorava, è praticamente disoccupato e non riesce a pagare le tasse universitarie di Kit, quasi alcolista. Completamente in caduta, con piccoli ma chiari segnali vediamo il suo volto completamente spento, mentre inciampa, sbadato, perso.
Il vuoto di Alan è dentro e intorno a lui. Una vera e propria proiezione. Nel mezzo al niente, in un luogo preconfezionato, con feste vacue, stupide, Alan deambula senza meta.
Eggers ci infila chiaramente una bella critica al capitalismo, e perché non dovrebbe?
L'impotenza è palpabile. In qualsiasi cosa c'è una traccia di frustrazione. La cosa più reale è pensare che sia un immenso miraggio nel deserto, il vaneggiamento di un folle. Ma è tutto vero, neanche troppo assurdo alla fine. Se non fosse per quel presentimento d'ovvio che purtroppo si respira fin dall'inizio e lascia cadere qualche traccia di sincera umanità sarebbe stato perfetto.
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