Talking about | manifestazioni, L'esorcista

L'esorcista di William Peter Blatty è un lungo sguardo volto verso il male. 
La storia della piccola Reagan che viene posseduta da un'identità demoniaca è passata sicuramente alla storia grazie al film di William Friedkin del 1973 grazie a un orripilante fiotto di vomito, ma vi assicuro che il romanzo si colloca su tutto un altro livello.



O meglio, le dinamiche sono praticamente le solite, alcune scene quasi ricalcate.
Ma il libro propone una visuale così indiscreta, uno sguardo che spoglia di ogni intimità ogni personaggio del romanzo da risultare non solo spaventoso ma persino morboso. 
Perché L'esorcista fa paura. Non il tipo di paura che magari ti tiene sveglio la notte, ma quella che ti fa fissare il vuoto per cinque minuti buoni, la testa piena di buio assoluto. 
L'obbiettivo di Blatty è infatti quello di dimostrare che sì, il male c'è, e ce lo mostra dimostrando come questo si prenda un animo del tutto innocente, quello di una bambina. 

Ma lo fa sopratutto dimostrando come il male riesca a portare alla luce qualsiasi verità. 
Quella stessa luce che illumina nella copertina Padre Merrin (non è avvolto infatti dalle oscure spire dell'inferno, ma da una luce abbagliante). 
La verità non accettata a livello famigliare dalla madre di Reagan, il marito che non chiama la bambina, un lavoro che occupa la maggior parte delle sue giornate. La verità non accettata sia a livello scientifico sia a livello religioso. 

Gli unici personaggi che hanno in mano uno strumento coerente sono quei due collocati ai poli opposti della trama: il demone Pazuzu e Padre Merrin. 
Ed è qui la forza spaventosa del romanzo, il suo rivelarsi lentamente, tutte le verità insieme a segni stessi della possessione demoniaca, il lento manifestarsi del demone è infatti quasi ipnotico. E questo, insieme a un ritmo narrativo costante che non porta mai a cali d'attenzione, rende il libro coinvolgente e allo stesso tempo esasperante. 

Il male è reale, tangibile. 

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