Good reasons | crescere.

È ormai regola generale che quando finisco un libro alle quattro di notte passando poi le seguenti due ore a fissare il vuoto o la tv che trasmette Fine Living o K2 e i dinosauri (mi conciliano il sonno) bisogna poi discuterne così, elencando buone ragioni per leggerlo. Ci sto a rimuginare troppo sennò. In questo caso chi mi ha tenuto compagnia nelle ore notturne (ciao insonnia, ti mando un bacio) è "Chi manda le onde" di Fabio Genovesi. Anche se abitiamo un quarto d'ora di distanza io non avevo mai letto niente di suo, sebbene "Esche vive" mi avesse già chiamato a gran voce diverse volte. Fortunatamente, dopo aver letto questa meraviglia, sono pronta a recuperare tutto. 




  • Questo romanzo è la storia di un improbabile gruppo di esseri umani, che messi insieme vanno a creare un quadro che potrebbe sembrare grottesco ma è in realtà bellissimo. Luna (bambina albina), sua madre, Sandro (un supplente di un supplente, che vive ancora con i genitori), i suoi due amici (disagiati quanto lui), Zot (bambino sopravvissuto a Chernobyl, compagno outsider di Luna), Ferro (vecchio che usa le bestemmie come intercalare). Esatto, può sembrare un'accozzaglia assurda, un polpettone che vuol suscitare reazioni lacrimevoli e piantini di commozione. Invece no. Ok, spesso si hanno momenti di tenerezza indicibili, attimi dove ci sono frasi che ti si piantano in testa e devi scrollartele di dosso per non rimanerci secco. Ma la storia con questi personaggi prosegue a passo di marcia, in un percorso che porta tutti quanti a scoprirsi di nuovo. E poi si ride un sacco. Sarà che anche io sono toscana, ma era tanto che non ridevo così di cuore. C'è quel bellissimo umorismo secco che adoro. Insomma, avete in mano un romanzo corale che funziona, che vi avvolge.
  • Genovesi parla di una Versilia che vedono in pochi. Quei momenti che d'inverno sembra di stare in Transilvania insomma. Parla di scuole tristi, di persone vili e bigotte, di passeggiate in Versiliana senza incontrare un'anima viva. Lo scenario è un paesaggio provincialissimo, con realtà spesso insopportabili, dove ci si sente bloccati, inermi. Eppure a tratti questo posto strettissimo e scomodo è anche confortevole. Ci sono rapporti sinceri, abbracci caldissimi che mettono in moto storie.
  • Luna e Zot. Quando ho saputo che c'era di mezzo una bambina albina di nome Luna ho storto il naso. Sono scettica, si sa. Mi aspettavo qualcosa di pretenzioso, qualcosa che, come ho detto prima, avesse solo voglia di calpestarmi il cuore. Con me queste cose funzionano poco. Mi indispettisco e basta. E invece. Invece Genovesi se ne va via, lascia il posto a due ragazzini che ti fanno sorridere come una deficiente e ti affascinano da morire. Luna che è delicatissima ma vuole stare al sole (e sembra che voglia calpestarti il cuore eh, ma non è mica così) e Zot che parla come un damerino e ascolta Claudio Villa. Genovesi, per me hai vinto solo con questi due.
  • I dialoghi sono fluidi, sinceri, reali. Così come Luna e Zot parlano come bambini veri (non quelle robe YA dove adolescenti parlano manco fossero Romeo e Giulietta) così tutto il romanzo è un susseguirsi di parole sincere, esatte.
  • Genovesi riesce a inserire un po' di soprannaturale senza stuccarvi. Perché non lo usa per mistificare qualcosa, ma per portare la meraviglia tra i suoi personaggi, per scuoterli e per scuotere di conseguenza il lettore. Gli etruschi, il Popolo della Luna, e sopratutto il mare, sono elementi bellissimi che stanno lì a farvi rimanere un po' a bocca aperta, un po' sorridere e basta.
  • "Siamo tutti normali, finché non ci conosci abbastanza". Nel romanzo di Genovesi si parla di famiglia, ma una famiglia anormale, una famiglia nata da un caso ben costruito alla fine, si parla di persone diverse che sono davvero diverse, e quindi? È una storia dove tutti crescono, da ragazzine albine, madri che hanno sofferto abbastanza, uomini che ancora non hanno capito bene cosa vogliono. 
Devo aggiungere altro?



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