Paper Moon
La strana biblioteca, ovvero, quando Murakami ricorda Gaiman.
Sarà per il fatto che c'è di mezzo un bambino di fronte a un'incognita terrificante, sarà che c'è di mezze una ritualità onirica che anche per gli standard di Murakami è qualcosa di più, è qualcosa di ben più fiabesco, queste pagine mi hanno offerto una lettura piacevole e molto diversa persino dai soliti racconti di entrambi questi scrittori. Una sintesi di entrambi.


Questa almeno è l'impressione che ho avuto io, ma in ogni caso è un libriccino da recuperare. Il potere di questo racconto è quello di schiudere l'immaginazione. 
Un bambino cade in una trappola insensata, immotivata. Viene rinchiuso nelle segrete di una biblioteca. Deve imparare a memoria tre libri sulla riscossione delle tasse nell'impero ottomano (richiesti da lui, tra le altre cose) e solo se supererà un esame tenuto da un vecchio inquietante verrà liberato. O almeno così spera. 
E ovviamente chi incontriamo nei cunicoli sotterranei della biblioteca? Ovviamente il simbolo dell'assurdo e dell'onirico in Murakami. No, non sono le due lune di 1Q84, ma se conoscete bene i sui romanzi potete arrivarci facilmente. 


Del resto in questo romanzo ci sono dei punti fissi. Reali da far paura. Il libro sulla riscossion delle tasse nell'impero ottomano per dire. O i donuts gustosissimi che vengono serviti al prigioniero. Donuts. In una segreta. O il fatto che la stanza incriminata sia la 107. 
Se in un sogno guardi l'orologio non riuscirai a ricordare l'ora.
E poi ci sono elementi troppo assurdi, quasi fatati. La nostra vecchia conoscenza, la ragazza misteriosa e luccicante che porta la cena, il continuo riferimento allo storno che il protagonista possiede. 
Una confusione che si fa sempre più pressante. 
E le illustrazioni di LRNZ (come sempre fenomenale) sono la goccia che fa traboccare il vaso.


Scorci, visioni da sogno con la coda dell'occhio, che trasmettono un sacco di cose, ma alla fine non sei ancora capace di capire. 
Murakami ci ha abituato a incamminarci nell'onirico ponendoci le giuste domande, senza, ovviamente, trovare mai quelle che sembrano le risposte adatte. 
In questo racconto tratto da "L'elefante scomparso e altri racconti" siamo però immersi totalmente e senza respiro in una dimensione ben più sconvolgente. Quella di un'eterna veglia che cancella poco a poco i confini della realtà.

Chiaramente potete procurarvi la raccolta di racconti, anzi, dovete farlo. Ma avete visto questo volume? Le illustrazioni di Kat Menschik (vi invito a cercare altri suoi lavori online) vi catturano e non vi danno tregua. Io, lo ammetto, tenevo in mano questo libriccino in adorazione. 
Se è stato scelto proprio questo racconto per ricevere queste illustrazioni non è certo un caso. Come vi ho detto la storia è appunto quella di una veglia perenne. Mancanza completa di sonno e stanchezza in una vita del tutto ordinaria. Una donna sposata con un figlio che ogni giorno affronta la stessa routine, abbandonandosi a ben pochi sfoghi. 
Potrebbe sembrarvi banalissimo ma, guarda caso, non lo è affatto. 
Perché non c'è nessuna lezione in questo racconto, nessuna dimostrazione spicciola della serie "la tua vita verrà sconvolta perché sei una persona banale e comune". Forse vuole ingannarvi e farvi credere proprio questo in realtà. Che così come in altri romanzi di Murakami una vita fatta di abitudini più o meno sane possa essere sconvolta dal surreale. 
In questo caso però, secondo la mia modestissima opinione, e credo che le illustrazioni lo confermino abbiamo qualcosa di più.
Una metamorfosi.
Qual è la verità? Il sonno che "raffredda" i meccanismi? Una routine poco cosciente? Dei ricordi che sbiadiscono e poi si presentano di nuovo, più reali di una vera esperienza?
Ci sono così tante domande, per niente esplicite poi, e così tante possibili risposte. 
A questo serviranno quelle illustrazioni. A farvi perdere ancora un po' di più, insieme alla protagonista, giungendo, o forse no, a una vera trasformazione. 
Ne avete sentito parlare fin troppo? Bene! Perché se vi hanno già assillato con "Annientamento" hanno fatto solo il loro dovere, e io sono qui giusto per rincarare la dose. 
La Southern Reach Trilogy, ormai conclusa da Jeff Vandermeer lo scorso anno ha messo radici (mai termine potrebbe essere più adatto) anche da noi, ed entro settembre potremmo ammorbare la nostra mente con le meraviglie e i segreti raccapriccianti nascosti nell'Area X.



Perché in pratica abbiamo queste donne, quattro, di cui conosciamo solo le mansioni all'interno della missione (la biologa, la psicologa, l'antropologa e la topografa) che vengono spedite da un'agenzia governativa segreta (la Southern Reach appunto) a indagare sulle realtà in continua evoluzione nell'Area X, un'area dove solo un elemento riesce a regnare veramente: la natura. 
Il risultato è un romanzo che vi farà mancare il fiato, leggerlo senza nessuna interruzione sarebbe letale e basta. Quello che Vandermeer ha chiamato infatti genere "New Weird" è un senso del meraviglioso maestoso e orrorifico, un salto dentro le menti più squilibrate ma tenaci. 
Ma in Annientamento ci viene offerto molto di più. Abbiamo la possibilità di subire una metamorfosi. Attraverso gli occhi della biologa proveremo cosa davvero significhi essere un essere umano, e al contempo, cosa possa essere o diventare tutto il resto, compresi noi stessi. In un ambiente completamente anarchico la comprensione umana, le sue conoscenze, le sue regole, sono solamente tentativi fallaci rivolti verso qualcosa che è semplicemente oltre qualsiasi capacità che potremmo mai avere. E non solo l'ambiente è completamente assurdo, pieno di inesattezze e misteri, ma nasconde apparentemente orrori striscianti che riusciranno sicuramente a posare su di voi i loro molteplici occhi. 
Cosa può fare l'essere umano di fronte a tutto questo? Affidarsi ai propri sensi? Ma cosa succede quando i nostri sensi non sono più sufficienti? Quando tutto è troppo luminoso, diverso, ibrido? Quale vantaggio può avere avere una persona nei confronti di una contaminazione perfettamente sensata ma allo stesso tempo completamente sconosciuta? 
"Non c'è guadagno nel rischio"? La biologa, con il suo microscopio, il suo passato, proverà ad afferrare e a toccare con mano quel presente in continua evoluzione, a segnare punti sulla sua mappa. Ma cosa accade quando poi anche le certezze vacillano?
Perché "In fondo cos'era una mappa, se non un modo per mettere in luce alcune cose e renderne visibili altre?"

Vandermeer riuscirà a farvi abbracciare un intero mondo con lo sguardo facendo un uso sapientemente meschino delle parole. Riuscirà a  farvi sentire il rumore del vento in un canneto ma anche a farvi vedere le più minuscole creature mai viste, le loro piccole zampe le sentirete sulla pelle. 

Vi dico solo che a metà lettura ho guardato i mio ragazzo dicendo "Mi sento gli occhi pieni di roba verde".
Io e Ellis iniziamo sempre male. Quando ho preso in mano American Psycho mi son sentita franare malamente le aspettative sotto i piedi. Cosa era quella roba insensata? Che me ne facevo di quel polpettone di dialoghi schizofrenici e trama ingarbugliata malamente? 
Trenta pagine e ho cominciato ad adorarlo. Alla fine mi ha comunque lasciato insoddisfatta, ma avevo capito comunque che io e Ellis saremmo diventati (benché lui lo sopporti ben poco) amici.
Ho iniziato Glamorama ed è successo lo stesso. Le prime dieci pagine volevo perdere i sensi a forza di testate al muro, probabilmente sullo stesso muro dove Victor Ward vede dei puntini che no, non stanno bene con l'atmosfera del suo locale. Avrete già capito che anche stavolta ci sono poi caduta dentro con ben poca grazia. Un bel po' per ingranare, ma poi nel giro di una nottata l'ho divorato. Ah, premessa. So che c'è un ordine cronologico, ma io ho visto solamente che questo veniva dopo la storia del buon Bateman e quindi me lo sono letta ignorando che alcuni personaggi, tra cui Victor appunto, compaiono prima in altri romanzi. 
Comunque. Stavolta il trash anni '90 (che è già un buon motivo per mettersi comodi a leggere Ellis) punta le sue luci su Victor Ward, il ragazzo del momento. In pratica una nullità, un modello dalla personalità completamente assente, acuto quanto un animale impagliato. 
A Victor appartiene la solita vita che brilla, ma in realtà è ben chiaro che vale quanto uno sputo per terra. Aspirante modello di fama, fa cose e vede gente in pratica. Ah, sta aprendo un locale finanziato da un tipo alquanto minaccioso. Chiaramente Victor si scopa la fidanzata del tipo. Ma intanto è impegnato con una modella eroinomane di fama mondiale. Avete capito la situazione, dai. 


Ellis ci da in pasto un mondo fatto di pura mercanzia, roba bellissima ma chiaramente danneggiata, ma, sopratutto inutile. La cultura pop è al servizio di una specie di documentario dove in un countdown letale vediamo l'intreccio farsi strada, mentre ci viene mostrato il vero volto, assolutamente privo di logica, della cultura dell'immagine, del mondo dello spettacolo, della fama. 
Grazie all'uso (già presente, ma in dose minore, in American Psycho) dell'elencazione di brand (ogni volta sappiamo che scarpe Victor indossa, Gucci, che vestito porta Chloe, Armani), delle liste di nomi di persone famose (pagine intere) il contesto viene non solo privato importanza, ma sopratutto di senso logico. Così mentre Victor attende l'apertura del suo locale siamo sballottati in una danza completamente insensata dove comunque germoglia una presenza diversa, assurdamente maligna, e la vita di Victor si infrange sotto gli occhi di tutti. 
Verrà contattato da un certo Palakon che gli ordina di mettersi sulle tracce di un ex compagna di Camden, la stampa manda all'aria la sua relazione. Finisce a Parigi e si trova coinvolto in azioni di stampo terroristico. 
Esattamente. Un po' tipo Zoolander (infatti Ellis se la prese parecchio) ma meno sorrisi e niente Blue Steel.
Tutto ciò non ha apparentemente nessun senso, ma sopratutto non riuscirete a trovarlo. Le situazioni sono costruite intorno a una continua aura di ambiguità, causata in primo luogo dallo sguardo annebbiato dalle droghe, dall'alcol e dalla poca morale di Victor, ma sopratutto dal continuo rappresentare la scena come set di un reality, di un videoclip. L'insensatezza della azioni dei protagonisti, da threesome completamente casuali a torture di cui non si sa bene il motivo, con nel mezzo magari un party in onore di non si sa bene cosa, non vi portano da nessuna parte. E se cercherete un indizio nelle parole di Victor, di Bobby o del misterioso Palakon starete solo perdendo tempo. I dialoghi sono vuoti, frammentari, inconcludenti. Spesso una frase è solo la citazione di una canzone. 
Tutto ciò costruisce un'immensa realtà priva di senso. Il mondo reale, con la sua etica, la sua logica, i suoi meccanismi viene completamente azzerato. E il fatto che parte del romanzo tratti di terrorismo non è un caso, non solo ai fini della trama, ma per quanto riguarda il punto di vista scelto da Ellis questo non è altro che l'ennesima prova dell'illogicità della situazione. Il terrorismo, fatto di azioni mirate, schemi, progetti, ma sopratutto obbiettivi, si destruttura completamente.

Leggere un romanzo di Ellis vuol dire fare un salto nel vuoto. Ma non nell'ignoto, bensì nel nonsense. In un mondo fatto di specchi deformanti, pieno zeppo di esseri che riempiranno la vostra testa di parole senza poi dirvi niente. Ma arrivati in fondo saprete di aver letto qualcosa di terribilmente cattivo, crudele e in parte assurdamente veritiero.
Quando ho letto "Le Correzioni" sapevo che l'avrei adorato. C'era qualcosa in quel libro che mi attirava morbosamente. Per questo ci ho messo tanto a comprarlo. Non per la paura di rimanerne delusa, ma perché avevo il timore che mi si rovesciasse addosso una quantità infinita di cose che avrei sentito troppo, troppo sulla mia pelle.
Ed effettivamente così è stato. Come ho scritto in una stringatissima recensione su Goodreads, "Ci sono rimasta". Ma non come pensavo. Le correzioni non mi ha travolta. Non ha ammassato le vite dei suoi protagonisti sulla mia, né mi ha afflitto con quelli che spesso sono i punti deboli di alcune saghe famigliari (eccessivo sconforto, alcune incredulità da romanzo d'appendice). Quello che ha fatto è stato invece permettermi di smontarmi pezzo per pezzo e paragonarmi al libro stesso. Una volta finito ero esausta. Ma mi sentivo benissimo.


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