Paper Moon
Questo libro è meraviglioso. Ok, magari non ve ne frega niente a voi della fotografia erotica, e vi da pure fastidio che ne so io (io sono tipo ossessionata ma vabbè e ve lo dico che questo libro è essenziale), però sul serio, dategli una chance ugualmente magari. Allargate i vostri orizzonti (ehm). 



  1. Questa è una nuova edizione, riveduta e con molti più artisti rispetto alla precedente. Il compito di scegliere chi e cosa è stato affidato a Dian Hanson (che cura le collane Taschen dedicate all'argomento sessualità) e Eric Kroll (fotografo, che è tipo fantastico, imho). Il loro interesse è rivolto ad artisti che non mostrino semplicemente peni in erezione, fetish tanto per, o sesso brutale, ma a quelli che hanno cercato il coinvolgimento e hanno provato a rappresentarlo al meglio.
    "Erotic photography, on the other hand, should show the body in believable positions and, hopefully, equipped with most original parts. More important, it must capture genuine emotion on the model's face. Ideally, we'll see her pleasure at sharing herself with the viewer, but I will accept embarassment, uncertainty, even anger, as long as there's something looking back at me to say a living, breathing woman was part of the photography process."
  2.  Il processo, ce lo spiega Eric Kroll è stato quello di chiedere a tutti gli artisti come scegliessero le modelle, cosa in particolare riesce ad smuovere in loro l'eccitazione adatta per uno scatto. Il concetto di ridefinire l'erotismo è costante. E trattato benissimo. Quindi vi ripeto, allargate i vostri orizzonti con un po' d'arte.
  3. "Erotic photography can be pornography but pornography is seldom erotic."A tutti gli artisti è stato  anche chiesto di definire il confine (se c'è, dove si trova) tra erotismo e pornografia. "Do I recognize a line between erotic photography and pornography, and if so, where does it lie? It doesn't lie."
    Alla fine si tratta della bellezza forse?
Io qualche conoscenza passivo aggressivo l'ho avuta, e posso dire che sì, sono terribili. 
Proiettori di ansia e sconforto, ma sopratutto, di un malessere indicibile e intollerabile, perché non nostro. 
Nel Soccombente abbiamo tre elementi, tre pianisti, tre virtuosi. Uno è l'io narrante (praticamente Bernhard stesso), uno è il soccombente (Wertheimer), uno è Glenn Gould. Ed è questo che annienta gli altri.
Tre pianisti talentuosi certo, ma solo uno è veramente. Ovvero Gould. Sono coinquilini, in parte colleghi, tutti e tre frequentano lo stesso illustre maestro di piano. Ma mentre il narratore e Wertheimer sono pianisti "e basta" Gould riesce a diventare in tutto e per tutto ciò che voleva essere. Il pianoforte stesso. "L'ideale sarebbe che io fossi lo Steinway, che non avessi bisogno di Glenn Gould, diceva, se fossi lo Steinway potrei fare in modo di rendere Glenn Gould del tutto superfluo".
E così è. L'annientamento dell'arte è palese. Gould sembra malato, rattrappito di fronte al pianoforte. Ma in realtà è una persona normale. Non fa arte, ma diventa arte. Perché non si è mai posto quesiti, perché non ha avuto paura, perché era qualcosa all'ennesima potenza. 
Ma lo ammetto, per quanto Glenn Gould sia maestoso è il Soccombente che sgomita affannoso tra le pagine per catturare il lettore. Wertheimer è invidioso, disperato, perennemente scontento. È il passivo aggressivo.
Perché Gould non gli fa niente di male. Ma nell'ottica di Wertheimer lo ha ferito a morte. Lo ha pugnalato. Per quanto si atteggiasse come un vero stoico Wertheimer ha compiuto un suicidio nel nome di nient'altro che dei suoi demoni. Della sua passività sempre pronta ad attaccare l'altro. 

E il narratore affronta un'accurata e chirurgica analisi di questi due elementi con un'angoscia esasperante, un monologo, una confessione che leva il fiato. Un'analisi in negativo. Non c'è mai un complimento, e in parte non c'è nemmeno ammirazione. 
L'unico tratto positivo sembrano quelle Variazioni Goldberg che hanno fatto crollare Wertheimer. Un virtuosismo doloroso.
Cercherò di farla breve ok? Stanotte alle quattro finivo " Il Cardellino", dopo mesi di procrastinazione all'acquisto mi è arrivato per il mio compleanno, e, dopo averlo letto, posso dire che ha avuto un tempismo eccellente. 
Questa recensione sarà molto di pancia, molto sincera, molto vaga e insensata. Non credo che sarebbe stato possibile fare altrimenti, questo romanzo si assimila e si conserva dentro senza alcuna riserva.



Ormai è passato un anno e lo saprete, la storia è quella di Theo Decker, ragazzino newyorkese che vive con sua madre, la quale muore in un attentato terroristico in un museo. Da lì Theo ne esce sano e salvo, ma ormai danneggiato, con un peso sulla schiena che si farà sempre più massiccio e in mano un quadro, che ha rubato. "Il Cardellino" di Fabritius appunto.
Prendo fiato e vi dico: fa malissimo. Io di Donna Tartt avevo già letto "Dio di illusioni", che ho amato alla follia. La bellezza malata, la crudeltà dietro il fascino, la perdita di sé, è stata una lettura meravigliosa, che continuo a consigliare ogni volta che qualcuno mi chiede "un libro che non riesca a smettere di leggere". Ecco, l'unico difetto che ho trovato in questo romanzo è stata l'efficacia narrativa. In certi punti Donna Tartt sembra non farcela, cosa che non mi sarei aspettata, e sì, effettivamente l'occhio si stanca, la mente, seppur leggermente, si annoia. Ma rispetto al precedente romanzo qui le parole non solo sono incastrate perfettamente, non solo costruiscono un intreccio di portata ben più grande, ma riescono a dipingere senza fallare una vita intera in pratica, quasi un romanzo d'appendice, un percorso che non ha una piega. Ma sopratutto ogni parola ha un peso, una carica, un significato maestoso. Ogni parola detta, ogni virgola vi si incideranno nel cranio, vi faranno abbastanza bene, o male, al cuore.
Il libro si divide in cinque parti e ognuna aggiunge e al contempo toglie qualcosa nel percorso di Theo, mantendo comunque due costanti: l'ossessione di Theo per il quadro, che si farà comunque sempre più pronunciata, sempre più diventerà motivo di dolore, e la sofferenza stessa, quel peso insopportabile che caratterizzerà ogni sua scelta. 
Ah, ecco. Io ho letto in giro, in parecchie recensioni che "Theo è insopportabile. Un protagonista che non si tollera." Ora, io potrei sbagliarmi tantissimo (lo faccio spesso) ma per trovare Theo insopportabile forse non avete vissuto abbastanza a contatto con la solitudine. E non parlo di cose "facili." Pochi amici, parenti che ogni tanto si arrabbiano, piccole delusioni. No, parlo della solitudine vera. Quella che ti toglie il fiato, che, come Theo ti costringe a fare o non fare cose. Perché a questo punto sono insopportabile anche io.Ok, Theo ha dei momenti in cui è odioso, alcuni atti di ingratitudine seria, ma è danneggiato. Non è una persona completa. Non che per questo sia giustificabile, non ha scuse per molti suoi comportamenti, ma se non si capisce questo, che Theo, con le sue ossessioni, i suoi vizi, la sue scelte sbagliate è guasto, va oltre l'imperfezione "normale", questo è il punto centrale del romanzo, è il motore che lo spinge ad andare avanti.

"Il Cardellino" è una storia di solitudine e bellezza, il dolore di Theo, con i suoi attimi di luce, il suo andare avanti spinto da cosa in fondo? Dal non superamento di una perdita? Dalla voglia di conquista? Insomma, come si può dire che è antipatico? Non ce la faccio. È uno dei personaggi letterari più simili a una persona in carne e ossa, un umano tangibile, che io abbia mai letto. 
E ciò che gira intorno alla sua persona è ancora più vivido. Il clima di Las Vegas, l'antiquariato polveroso, il quadro onnipresente. E gli altri personaggi. Pippa, diafana, la cui presenza è quasi mistica a momenti, Hobie, ma, sopratutto Boris. Ecco, qui sono più che sicura nell'affermare che la parte relativa a Las Vegas e l'amicizia con Boris sia una delle cose più belle, ma belle davvero che siano state scritte sull'amicizia. Mollate quelle cose preconfezionate, pretestuose che state leggendo e date un'occhiata. Ma c'è altro.
Così come in "Dio di illusioni" non manca quell'analisi spietata delle bellezza corrotta, della ricchezza non solo vuota, ma crudele, malata, folle. Famiglie agiate ma immerse nel dolore, cose preziose che in realtà sono solo oggetti di poco conto. Ma stavolta la Tartt passa a un livello successivo, entrando dentro gli oggetti, dentro la brama, dentro al desiderio.
La bellezza, nell'arte, ma nelle cose belle in generale "È un sospiro segreto in un vicolo".

Donna Tartt nelle ultime cento pagine ci offre parole che vanno prese, messe in un posto sicuro e di tanto in tanto spolverate, ma mai dimenticate. Sono cento pagine che distruggono ogni cosa, ma offrono anche una specie di catarsi. Sono un antidoto alla solitudine.

Questa strana mania di buttare giù liste mi conforta e mi fa sentire una vera e propria qualificatissima malata dell'ordine, quindi, per quanto già la mia wishlist letteraria (perché ovviamente da brava osservatrice e gatta curiosa riesco a scovare qualsiasi cosa e farmi venire in mente di tutto, ho molte altre wishlist) sia pachidermica in una maniera angosciante, riesco a spezzettarla in tante wishlist che poi osservo compiacendomi e bramando. Eccone una. Il filo conduttore mi sembra abbastanza chiaro, quindi perché starvi a spiegare cose.

L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Walter Benjamin (Einaudi). Credo che il "dibattito" contenuto in queste pagine sia davvero consono al momento, giustamente. La perdita del fascino, o come dice Benjamin "la perdita dell'aura" in un epoca in cui l'opera d'arte è riproponibile in ogni modo, in ogni dove, con qualsiasi mezzo e sopratutto fine, la sua mercificazione, chiesta e attuata da chi? Dalle masse, ovvio. Il carattere mistico e puro, la sensazione quasi primitiva di trovarsi di fronte alla bellezza vera, dove sta? (La studentessa d'arte che è in me si chiede come mai non l'ha ancora comprato).

La camera chiara, Roland Barthes (Einaudi). Riflessioni e digressioni. Cosa è la fotografia, chi fa la foto, chi "la subisce", se così si può dire "l'ontologia" della fotografia.

Sulla fotografia, Susan Sontag (Einaudi). L'immagine riproposta, lo scatto volontario o meno, in una società fatta di realtà ben spesso costruite, quindi, cosa porta lo scatto fotografico? Un fenomeno che si intrecci in ambiti sociali, culturali, emotivi.

Le oscillazioni del gusto, Gillo Dorfles (Skira). In breve, l'occhio che osserva l'opera d'arte, cosa vede e come lo vede? La diatriba continua tra chi ha veramente ragione (quando chiaramente una ragione nell'arte non si può trovare se non osservando davvero l'arte).

Lo potevo fare anch'io, Francesco Bonami (Mondadori). Ecco, leggetelo, prima di dire idiozie, che ne sento talmente tante sull'arte contemporanea che potrei scrivercelo anche io un libro. 

Questa wishlist è molto, molto inspirata dalla mia passione per l'arte e la bellezza. A questo proposito, io mi devo laureare, tecnicamente, per questo non c'è una recensione bella corposa oggi. Tuttavia ho due libri mastodontici e bellissimi in lettura di cui poi vi parlerò. Uno è "I tre moschettieri" (Ilenia ha organizzato un gruppo di lettura), e l'altro è "The Dome" del mio adoratissimo Stephen King, che anche questa volta pare non tradirmi. Ah, ogni tanto mi allieto con qualche striscia Peanuts.
Quindi sì, "La civiltà minoica" mi chiama a gran voce, ma intanto i pomeriggi con il mio ragazzo sono bellissimi, i moschettieri si arruffianano il re, "Stop the bats! Stop the bats! Make them go and not come back!", sotto la Cupola la gente sta già perdendo il senno come in un distopico che davvero si rispetti, arriveranno nuove recensioni. E io procrastinavo before it was cool, quindi nessuno deve proprio insegnarmi niente. Mica si frigge con l'acqua. 


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