Paper Moon
Oh, ma ho letto un sacco di roba a maggio! Andiamo con ordine. 

 

Al di là del nero, Hilary Mantel (Fazi). Ci sono prima di tutto gli spiriti. Da temere, da rispettare più che compatire. E poi ci sono Alison e Colette. Due persone che non riescono mai a ottenere davvero ciò che hanno bisogno da loro stesse.
Ma di questo romanzo ne parleremo meglio a breve. 


The Yellow Wall-Paper, Charlotte Perkins Gilman (Penguin). Straniante e terrificante a livelli meravigliosamente crudeli.

 

Canto della pianura, Kent Haruf (NN Editore). Qui un clamoroso delirio post lettura. 

Come funzionano i romanzi, James Wood (Mondadori). La narrativa è funzionale alla realtà. Un tutoraggio dialettico. Dettagli, immedesimazione, il romanzo suggerisce che c'è sempre qualcosa di più. Perché c'è davvero.


Ci sono state altre ottime letture, come il secondo volume della Saga della Torre Nera o il penultimo della Saga di Prydain, ma penso che in entrambi i casi il meglio debba ancora arrivare.  Sto cercando in effetti di terminare alcune saghe, fallendo miseramente iniziandone di nuove (I Regni del fuoco di Tui T. Sutherland, i Lungavista di Robin Hobb, e poi, per non farsi mancare niente, Terry Pratchett).

"Tre giri dovrebbero bastare".
Kent Haruf è per me la cura perfetta per la voracità nella lettura.
L'avevo già sperimentato con Benedizione, grazie a NN Editore che ha deciso di pubblicare la Trilogia della pianura (grazie davvero, perché questo dimostra che ci sono ancora così tanti libri belli sepolti e nascosti che ci aspettano).



In Benedizione c'era una calma dolorosa, un passo lento e pesante che conduceva verso la morte. Qui invece sono protagonisti i primi passi, i nuovi sentieri da percorrere, coperti di brina al mattino e polverosi al tramonto. 
"A Holt c'era quest'uomo, Tom Gutrhie, se ne stava in piedi alla finestra della cucina, sul retro di casa sua, fumava una sigaretta e guardava fuori, verso il cortile posteriore su cui proprio in quel momento stava spuntando il giorno".
Victoria rimane incinta troppo presto, porta con sé una nuova vita, e verrà ospitata dai fratelli MCPherson, anche loro alle prese con qualcosa di nuovo, dopo essere invecchiati insieme, sempre soli, insieme ai loro animali soltanto. Guthrie rimane senza moglie, e i suoi figli senza madre. 

E il silenzio, che in Benedizione era appunto schiacciante, qui ogni tanto è spezzato da gracchiare delle gazze ladre sui fili, dai rumori delle auto, dal gemere nel buio. 
Lo stile è più ricco, quasi barocco.
"Sopra di loro, un paio di gazze si dondolavano schiamazzando sul ramo di un pioppo nero, poi uno degli uccelli volò via negli alberi oltre la casa della signora Frank, e l'altro gracchiò quattro volte, rapido e stridente, prima di spiccare il volo a sua volta."
Ma ancora, con stupefacente delicatezza, Kent Haruf è stato capace di raccontare la straziante dolcezza di tutti i giorni. In uno spazio circondato dal deserto le giornate scorrono lente, ed è sugli eventi che si fa affidamento. 

Canto della pianura parla di nuove occasioni, sempre tracciate secondo legami capaci di crescere e piccoli gesti del tutto differenti rispetto a quelli del passato.
"Non ti preoccupare. Ora va tutto bene. Si allungò attraverso il tavolo e le diede un colpetto sul dorso della mano. Era un gesto goffo. Non sapeva come farlo". Non importa sapere davvero cosa succede, ma come succede, con piccoli dettagli, minuscoli momenti una giornata alla volta.

Ho letto "Benedizione" con molta calma. Concordo su ciò che viene detto sul retro della copertina, non ti lascia andare quando lo prendi in mano. Kent Haruf è capace di stregarti. Ti immobilizza, letteralmente. Io però l'ho presa con calma, ho capito che dovevo farlo immediatamente. 

La narrazione è scarna, prima di fronzoli, senza alcun vociare isterico che pretende da te una qualche comprensione. In una storia che parla di un uomo che sta per morire, ma anche di molto altro, ci si aspetta qualcosa di pretenzioso forse, una messa in mostra del dolore. Non solo questi inutili orpelli non ci sono, ma grazie appunto a una scrittura completamente priva di aggiunte superficiali abbiamo un manifesto che ci racconta lento storie di vite che passano. 
Quando Dad Lewis sta per morire la figlia Lorraine torna in città. Poi ci sono i vicini di casa. Ma anche un pastore troppo complicato o una relazione che è chiaro quanto non possa funzionare. Sono quelli che si definiscono momenti di vita quotidiana, e in molti hanno detto "Carver". Però qui secondo me è un po' diverso. Carver ti stritola la mano (e il cuore anche), mentre qui è come trovarsi di fronte a una finestra aperta, e senza malizia né troppo clamore mettersi a vedere cosa fanno le persone lì dentro. Anche per questo l'ho presa con calma. I capitoli sono brevi, i dialoghi, dio mio, i dialoghi. I dialoghi sono quadri perfetti. Malinconici, esatti, ecco, c'è un'esattezza umana che può sembrare costruita in maniera quasi fin troppo perfetta, quando in realtà vi ritroverete a provare solo pura empatia. 

In questi momenti dove ci si trova ad osservare queste vite che procedono, o rallentando ripercorrendo un poco il passato, si affrontano tantissime cose anche se in realtà possono sembrare poche. Ci sono silenzi preziosissimi e parole accurate. Niente viene mai comunque lasciato a sé stesso. Una malinconia quasi brutale.
Non ho la benché minima idea di come possa essere passato maggio. Davvero, non capisco. A questo punto tanto vale passare davvero la vita a procrastinare con orgoglio, leggendo, bevendo, e lamentandosi insieme ai gatti. 




  • Zona disagio, Jonathan Franzen. Vedi sopra. Sarà che il momento è particolarmente azzeccato, ma questo libro è stato la mia salvezza questo mese. A parte essere infinitamente bello, ovvio. Ne ho delirato anche qui, ma ripeto, non credete a ciò che si dice in giro. Non è assolutamente noioso e sconclusionato, ma chirurgico e letale. 
  • Chi manda le onde, Fabio Genovesi. Anche qui ho già espresso il mio compiacimento sufficientemente. Riuscire a non farmi indispettire mettendo in scena due bambini (di cui una albina e uno scampato a Chernobyl), riuscendo a farmi sorridere e rendendoli fascinosissimi, ecco, per me ha vinto per questo. Poi sarà che abito qui in Versilia, ma era tanto che non ridevo davvero leggendo un libro. Che non ridevo di cuore. Insomma, è bello. C'è un po' di soprannaturale (ma che serve solo a meravigliarci o a scuoterci un po'), ci sono personaggi disastrati (ma mai macchiette), e c'è una storia bella (ma non pretenziosa). Quindi? Leggetelo.
  • Benedizione, Kent Haruf. Dio santo, leggetelo. È un'operazione di voyeurismo discreto quella che opererete leggendo questo romanzo. È l'affacciarsi alla finestra di qualcuno e vedere cosa sta facendo. Senza troppa malizia e senza alcun clamore.
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