Paper Moon si è trasferito! Adesso è su Wordpress, e vi aspetta qui: https://onlyapapermoonweb.wordpress.com/.
Immaginatevi la scena. Girovagando su Amazon.uk trovate questo libro con una copertina stupenda. Prima di tutto c'è un drago, e io sono una persona debole. Se c'è un drago in copertina il libro lo compro. Poi c'è una città gotica e il nome Seraphina.
Il punto è: cosa succede quando poi leggendolo vi rendete conto che avete scelto per puro caso un fantasy contemporaneo di una potenza immensa?
Rachel Hartman ha conquistato la mia fiducia sin dal prologo.
"My love of music eventually lured me from the safety of my father's house, propelling me into the city and the royl court. I took a terrible risk, but I could not do otherwise. I did not understand that I carried loneliness before me on a plate, and that music would be illuminating me from behind."
Seraphina è una sedicenne che vive nella capitale del regno di Goredd, e da poco è entrata a far parte della Corte come ruolo di Music Mistress, essendo dotata di enorme talento musicale. Ma cela molto più di quel semplice talento. Ha un segreto con cui è costretta a convivere, un segreto che non la rende unica (e attenzione, perché questo è il cuore del romanzo), la rende, ovviamente, diversa.
La infatti trama potrebbe sembrarvi quasi ovvia: ragazza speciale, intrighi a corte che cercano di distruggere una tregua quarantennale tra draghi e umani, una storia d'amore impossibile. In realtà vi state sbagliando di grosso, e la storia mette subito le cose in chiaro: qui non c'è posto per chi vuole sentirsi leggero. Seraphina è un fantasy per chi vuole vedere le cose come devono essere, Quanto gli umani sono crudeli, quanto i draghi sono diversi (draghi che ve lo dicono, sono fissati con la matematica, mi inchino), mantenendo comunque un sense of wonder invidiabile.
Essendo il romanzo narrato in prima persona attraverso gli occhi di Seraphina possiamo osservare l'atmosfera di crisi che tiene il regno in pugno. Gli uomini rimpiangono la tregua stipulata quarant'anni prima con i draghi, che gli ha costretti a vivere fianco a fianco a quelle che ritengono creature meschine e orripilanti. Per questo per strada vengono presi di mira i sarantraai, i draghi nella loro forma umana, che sono stati ghettizzati in una parte della città che di notte viene sbarrata a tutti gli altri.
Così la narrazione si struttura automaticamente in due percorsi: da una parte ciò che Seraphina è costretta ad affrontare per stanare il fantomatico attentatore che vuole metter fine alla tregua, dall'altra l'occhio è costantemente puntato su una società in procinto di crollare, con tutti i suoi pregiudizi e le sue insidie, causate sia dagli uomini che dai draghi stessi. Del resto, mentre gli uomini biasimano chi cerca di comprendere i draghi, quest'ultimi non cercano minimamente di comprendere cosa significhi essere umani. O meglio, non possono. I draghi vivono in rispetto dell'ard e l'ard è un po' come la Forza. È l'equilibrio, ciò che permane l'universo e lo regola, ciò che ci mantiene vigili e ci guida nel buio. Solo che per i draghi si tratta di un dogma, un obbligo che li costringe ad allontanare chi cede troppo facilmente agli istinti più deboli. L'amore non è cosa da draghi, così come la compassione e persino la paura. Questa bipartizione crea un mondo molto ben definito, che in parte può ricordare Urras e Anarres i due pianeti gemelli ma ideologicamente incompatibili narrati in The Dispossessed di Ursula Le Guin. Come può un regno reggersi in piedi quando ci sono così pochi punti in comune? Ed è questo il punto di forza di Rachel Hartman, il suo non essersi concentrata sul fascino e sulla maestosità dei draghi, ma sulla loro incompatibilità con gli esseri umani. In tal modo l'interesse è causato non tanto dall'ampiezza e dai minuscoli dettagli che il mondo di Goredd offre, bensì sulle meccaniche che lo regolano e che lo fanno vacillare così pericolosamente verso la guerra. Del resto l'autrice non offre molti altri spunti per incuriosire il lettore, e alcuni dettagli (per esempio, come viene governato il regno? Sì, ci sono delle province, ma come funzionano? Come è distribuita la popolazione) che in altri romanzi sono i mattoni che vanno a formare un quadro più grande vengono bellamente ignorati. L'unico espediente che tiene insieme i due mondi è la lingua. Rachel Hartman si è cimentata nella glottopoiesi, creando un linguaggio abbozzato ma interessante, perché sono proprio le diverse lingue (e addirittura i dialetti) che ci aiutano a comprendere meglio la società di Seraphina.
E poi appunto c'è lei. E Seraphina è legata a doppio filo alla tregua. Perché sua madre era un drago. Questo è il suo segreto. È un outsider? No, perché nessuno sa cosa sia veramente (tranne suo padre e il suo zio/mentore), ma non la rende nemmeno la ragazza unica e speciale che ci avrebbe fatto cadere le braccia in un altro romanzo.
Seraphina è una freak. È costretta a vivere in allerta, temendo di essere scoperta sia dai drghi, non capisce i draghi e he la vedrebbero come un abominio, ma non può certo rapportarsi con gli uomini.
"I scrupulously hide every legitimate reason for people to hate me, and it turns out they don’t need legitimate reasons. Heaven has fashioned a knife of irony to stab me with."
Sebbene sia un romanzo fantasy la magia in questo caso non è assolutamente un bonus a favore del protagonistam anzi. Le sorprendenti capacità che poco a poco si risvegliano in Seraphina sono assolutamente terrificanti. Il suo Garden of Grotesque è un luogo che lei stessa ha costruito nella sua mente per tenere a bada alcune visioni che la tormentano.
Del resto fino a che non troverà il suo ruolo in quella società non potrà mai essere capace di gestire ciò che ha nella mente, così come non potrà guardarsi allo specchio senza provare ribrezzo per sé stessa.
E per capire chi si è veramente c'è bisogno d costruire legami, dire la verità quando necessario, il lettore accompagna Seraphina in un percorso d'accettazione labirintico.
Quello di Rachel Hartman è un romanzo in realtà molto complesso, a partire da un intreccio solido ed efficace fino all'ultima rivelazione, in un territorio che va quasi a sfiorare argomenti metafisici. Tra storie d'amore che si affrontano discutendo di filosofia ("I mistook you for a metaphor.") fino a draghi che rischiano di dover dimenticare cosa vuol dire essere umani, per quanto loro stessi siano costretti a farlo per essere accettati.
Il punto è: cosa succede quando poi leggendolo vi rendete conto che avete scelto per puro caso un fantasy contemporaneo di una potenza immensa?
Rachel Hartman ha conquistato la mia fiducia sin dal prologo.
"My love of music eventually lured me from the safety of my father's house, propelling me into the city and the royl court. I took a terrible risk, but I could not do otherwise. I did not understand that I carried loneliness before me on a plate, and that music would be illuminating me from behind."
Seraphina è una sedicenne che vive nella capitale del regno di Goredd, e da poco è entrata a far parte della Corte come ruolo di Music Mistress, essendo dotata di enorme talento musicale. Ma cela molto più di quel semplice talento. Ha un segreto con cui è costretta a convivere, un segreto che non la rende unica (e attenzione, perché questo è il cuore del romanzo), la rende, ovviamente, diversa.
La infatti trama potrebbe sembrarvi quasi ovvia: ragazza speciale, intrighi a corte che cercano di distruggere una tregua quarantennale tra draghi e umani, una storia d'amore impossibile. In realtà vi state sbagliando di grosso, e la storia mette subito le cose in chiaro: qui non c'è posto per chi vuole sentirsi leggero. Seraphina è un fantasy per chi vuole vedere le cose come devono essere, Quanto gli umani sono crudeli, quanto i draghi sono diversi (draghi che ve lo dicono, sono fissati con la matematica, mi inchino), mantenendo comunque un sense of wonder invidiabile.
Essendo il romanzo narrato in prima persona attraverso gli occhi di Seraphina possiamo osservare l'atmosfera di crisi che tiene il regno in pugno. Gli uomini rimpiangono la tregua stipulata quarant'anni prima con i draghi, che gli ha costretti a vivere fianco a fianco a quelle che ritengono creature meschine e orripilanti. Per questo per strada vengono presi di mira i sarantraai, i draghi nella loro forma umana, che sono stati ghettizzati in una parte della città che di notte viene sbarrata a tutti gli altri.
Così la narrazione si struttura automaticamente in due percorsi: da una parte ciò che Seraphina è costretta ad affrontare per stanare il fantomatico attentatore che vuole metter fine alla tregua, dall'altra l'occhio è costantemente puntato su una società in procinto di crollare, con tutti i suoi pregiudizi e le sue insidie, causate sia dagli uomini che dai draghi stessi. Del resto, mentre gli uomini biasimano chi cerca di comprendere i draghi, quest'ultimi non cercano minimamente di comprendere cosa significhi essere umani. O meglio, non possono. I draghi vivono in rispetto dell'ard e l'ard è un po' come la Forza. È l'equilibrio, ciò che permane l'universo e lo regola, ciò che ci mantiene vigili e ci guida nel buio. Solo che per i draghi si tratta di un dogma, un obbligo che li costringe ad allontanare chi cede troppo facilmente agli istinti più deboli. L'amore non è cosa da draghi, così come la compassione e persino la paura. Questa bipartizione crea un mondo molto ben definito, che in parte può ricordare Urras e Anarres i due pianeti gemelli ma ideologicamente incompatibili narrati in The Dispossessed di Ursula Le Guin. Come può un regno reggersi in piedi quando ci sono così pochi punti in comune? Ed è questo il punto di forza di Rachel Hartman, il suo non essersi concentrata sul fascino e sulla maestosità dei draghi, ma sulla loro incompatibilità con gli esseri umani. In tal modo l'interesse è causato non tanto dall'ampiezza e dai minuscoli dettagli che il mondo di Goredd offre, bensì sulle meccaniche che lo regolano e che lo fanno vacillare così pericolosamente verso la guerra. Del resto l'autrice non offre molti altri spunti per incuriosire il lettore, e alcuni dettagli (per esempio, come viene governato il regno? Sì, ci sono delle province, ma come funzionano? Come è distribuita la popolazione) che in altri romanzi sono i mattoni che vanno a formare un quadro più grande vengono bellamente ignorati. L'unico espediente che tiene insieme i due mondi è la lingua. Rachel Hartman si è cimentata nella glottopoiesi, creando un linguaggio abbozzato ma interessante, perché sono proprio le diverse lingue (e addirittura i dialetti) che ci aiutano a comprendere meglio la società di Seraphina.
E poi appunto c'è lei. E Seraphina è legata a doppio filo alla tregua. Perché sua madre era un drago. Questo è il suo segreto. È un outsider? No, perché nessuno sa cosa sia veramente (tranne suo padre e il suo zio/mentore), ma non la rende nemmeno la ragazza unica e speciale che ci avrebbe fatto cadere le braccia in un altro romanzo.
Seraphina è una freak. È costretta a vivere in allerta, temendo di essere scoperta sia dai drghi, non capisce i draghi e he la vedrebbero come un abominio, ma non può certo rapportarsi con gli uomini.
"I scrupulously hide every legitimate reason for people to hate me, and it turns out they don’t need legitimate reasons. Heaven has fashioned a knife of irony to stab me with."
Sebbene sia un romanzo fantasy la magia in questo caso non è assolutamente un bonus a favore del protagonistam anzi. Le sorprendenti capacità che poco a poco si risvegliano in Seraphina sono assolutamente terrificanti. Il suo Garden of Grotesque è un luogo che lei stessa ha costruito nella sua mente per tenere a bada alcune visioni che la tormentano.
Del resto fino a che non troverà il suo ruolo in quella società non potrà mai essere capace di gestire ciò che ha nella mente, così come non potrà guardarsi allo specchio senza provare ribrezzo per sé stessa.
E per capire chi si è veramente c'è bisogno d costruire legami, dire la verità quando necessario, il lettore accompagna Seraphina in un percorso d'accettazione labirintico.
Quello di Rachel Hartman è un romanzo in realtà molto complesso, a partire da un intreccio solido ed efficace fino all'ultima rivelazione, in un territorio che va quasi a sfiorare argomenti metafisici. Tra storie d'amore che si affrontano discutendo di filosofia ("I mistook you for a metaphor.") fino a draghi che rischiano di dover dimenticare cosa vuol dire essere umani, per quanto loro stessi siano costretti a farlo per essere accettati.
Quando viene pubblicato un nuovo lavoro di Amélie Fléchais è impossibile starsene con le mani in mano. Dopo Lupetto Rosso e Il Sentiero Smarrito non affidarsi all'autrice francese sarebbe un'autentica follia. Il suo talento nell'accompagnare il lettore in un mondo surreale dove si è leggerissimi, un mondo dove perdersi è la cosa più semplice del mondo e lo si fa anche volentieri, è unico. Ne L'Uomo Montagna viene affiancata nella sceneggiatura da Séverine Gauthier, di cui vi invito a cercare Haïda (storia che spero riesca ad arrivare anche qui da noi, Tunué dico a te!) e Garance, due lavori che come quelle di Amelie Flechais giocano con microcosmi meravigliosi.
Il risultato del loro lavoro insieme è una nuova opera incantevole e delicata.
L'uomo montagna è la storia di un nonno che, appesantito dalle montagne che gli sono cresciute sulla schiena dopo i suoi innumerevoli viaggi, non riesce più a muoversi, e del suo nipotino, un bambino che ancora non ha nessuna montagna sul suo corpo, e che decide di partire alla ricerca del vento più forte che c'è, per far smuovere suo nonno per poterlo accompagnare poi in un nuovo viaggio.
La storia, così come i precedenti lavori dell'autrice, contamina il racconto con degli aspetti favolistici. Il bambino affronterà un percorso ben preciso, un percorso da tracciare su mappa, incontrando diversi personaggi ognuno dei quali donerà lui un insegnamento. Tre personaggi, tre aiutanti, e una morale sottintesa.
Ma rispetto a Il Sentiero Smarrito dove la natura era una componente mistica e selvaggia e aveva quasi una funzione scenografica in questo caso è invece protagonista. I tre personaggi che il bambino incontrerà saranno del resto un albero che gli insegnerà il valore della parola casa, dei sassi che sapranno sorprenderlo con il loro rotolare insieme, condividendo ciò che provano (sennò che senso avrebbe rotolare?) e il saggio re degli stambecchi. Ognuno di loro offrirà al bambino il suo punto di vista e lo porterà a completare così il suo percorso, arrivando così alla montagna più alta di tutte dove incontrerà il vento.
L'uomo montagna è il racconto di come si possa, e come sia difficile in parte, affrontare e comprendere il percorso di una vita, una riflessione sul senso più profondo del significato della parola viaggio.
Le radici e le montagne sono ciò che il bambino scoprirà di aver sempre avuto, ciò che avrà sempre, l'accettazione e la condivisione di tutto quello che si incontra durante ogni lungo viaggio o semplice percorso.
Il linguaggio degli autori è dolce, la narrazione armoniosa e suggestiva. La natura è vivida nei suoi colori più puri e onirici, quelli che illuminano le favole più sincere. Quando insomma la parola incanto non è usata a caso.
| Séverine Gauthier e Amélie Fléchais, Tunué, pp. 56,
Tunué/Amazon
Il risultato del loro lavoro insieme è una nuova opera incantevole e delicata.
L'uomo montagna è la storia di un nonno che, appesantito dalle montagne che gli sono cresciute sulla schiena dopo i suoi innumerevoli viaggi, non riesce più a muoversi, e del suo nipotino, un bambino che ancora non ha nessuna montagna sul suo corpo, e che decide di partire alla ricerca del vento più forte che c'è, per far smuovere suo nonno per poterlo accompagnare poi in un nuovo viaggio.
La storia, così come i precedenti lavori dell'autrice, contamina il racconto con degli aspetti favolistici. Il bambino affronterà un percorso ben preciso, un percorso da tracciare su mappa, incontrando diversi personaggi ognuno dei quali donerà lui un insegnamento. Tre personaggi, tre aiutanti, e una morale sottintesa.
Ma rispetto a Il Sentiero Smarrito dove la natura era una componente mistica e selvaggia e aveva quasi una funzione scenografica in questo caso è invece protagonista. I tre personaggi che il bambino incontrerà saranno del resto un albero che gli insegnerà il valore della parola casa, dei sassi che sapranno sorprenderlo con il loro rotolare insieme, condividendo ciò che provano (sennò che senso avrebbe rotolare?) e il saggio re degli stambecchi. Ognuno di loro offrirà al bambino il suo punto di vista e lo porterà a completare così il suo percorso, arrivando così alla montagna più alta di tutte dove incontrerà il vento.
L'uomo montagna è il racconto di come si possa, e come sia difficile in parte, affrontare e comprendere il percorso di una vita, una riflessione sul senso più profondo del significato della parola viaggio.
Le radici e le montagne sono ciò che il bambino scoprirà di aver sempre avuto, ciò che avrà sempre, l'accettazione e la condivisione di tutto quello che si incontra durante ogni lungo viaggio o semplice percorso.
Il linguaggio degli autori è dolce, la narrazione armoniosa e suggestiva. La natura è vivida nei suoi colori più puri e onirici, quelli che illuminano le favole più sincere. Quando insomma la parola incanto non è usata a caso.
| Séverine Gauthier e Amélie Fléchais, Tunué, pp. 56,
Tunué/Amazon
Annuncio, annuncio importantissimo: abbiamo finito Twin Peaks.
Dopo tre tentativi andati a vuoto sì, ci sono riuscita. E lo ammetto, non ci riuscivo perché mi faceva veramente troppa paura. Tipo che dopo facevo tre scale alla volta.
Quindi ovviamente, la serie del mese (se non LA serie, quella che sta all'inizio di tutto) è proprio il capolavoro di David Lynch (che shame on me adoro, e proprio Twin Peaks mi mancava).
Altra serie ovviamente è A Series of Unfortunate Events.
L'hype era tanto, e io non ho lasciato vacillare le mie speranze neanche per un attimo durante l'attesa. Perché solo dal trailer si capiva che era stato fatto uno splendido lavoro.
La serie mantiene inalterata la cattiveria e la meschinità dei libri, la loro capacità di strapparti il cuore a brandelli. Una narrazione postmoderna, ambientata in scenari gotici e quasi steampunk ma allo stesso tempo iperrealistici, l'abbandono, il dolore, l'intelligenza.
Niente è rimasto indietro.
La serie è perfetta.
Termine che qui sta a indicare la capacità degli autori di distruggere tutte le vostre speranze.
"I would advise all our viewers to turn away immediately and watch something more pleasant instead."
Dopo tre tentativi andati a vuoto sì, ci sono riuscita. E lo ammetto, non ci riuscivo perché mi faceva veramente troppa paura. Tipo che dopo facevo tre scale alla volta.
Quindi ovviamente, la serie del mese (se non LA serie, quella che sta all'inizio di tutto) è proprio il capolavoro di David Lynch (che shame on me adoro, e proprio Twin Peaks mi mancava).
Altra serie ovviamente è A Series of Unfortunate Events.
L'hype era tanto, e io non ho lasciato vacillare le mie speranze neanche per un attimo durante l'attesa. Perché solo dal trailer si capiva che era stato fatto uno splendido lavoro.
La serie mantiene inalterata la cattiveria e la meschinità dei libri, la loro capacità di strapparti il cuore a brandelli. Una narrazione postmoderna, ambientata in scenari gotici e quasi steampunk ma allo stesso tempo iperrealistici, l'abbandono, il dolore, l'intelligenza.
Niente è rimasto indietro.
La serie è perfetta.
Termine che qui sta a indicare la capacità degli autori di distruggere tutte le vostre speranze.
"I would advise all our viewers to turn away immediately and watch something more pleasant instead."
Infine: Steven Universe.
Non ho ancora ripreso la visione della nuova stagione di Adventure Time (pausa, AT e Twin Peaks insieme potrebbero togliermi il sonno), quindi stiamo recuperando anche Steven.
Steven Universeè una serie di Cartoon Network (e qui parte il jingle mentale) creata da Rebecca Sugar (che guarda caso prima scriveva proprio per AT) ambientata a Beach City, una minuscola cittadina dove ha sede il Tempio delle Crystal Gems, delle creature millenarie, ultradimensionali, tutte queste cose qui, che oltre a salvare il pianeta si prendono cura di Steven, un ragazzino "ibrido" visto che sua madre ha donato la sua gemma per salvarlo.
Ora, le prime puntate sono divertenti, un divertente genuino. A metà della prima stagione parte il trip. Chi sono davvero le gemme? Perché Rose, la madre di Steven, ha donato la sua gemma per salvarlo? Di cosa è capace Steven? Ci sono altre gemme? Da dove vengono?
Quindi niente, anche queste è una nuova serie per ossessionarvi e farvi ammattire un po'. Però davvero, è divertentissima. Io non ho ancora capito quale sia la mia Gemma preferita (e tutti i personaggi sono davvero complessi e ben caratterizzati, sopratutto nei loro difetti).
Diletta, 25.
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