Leggendo "Il paese dei coppoloni" la prima sensazione che si ha è quella di un appagamento sincero.Il viandante che percorre "le terre dei padri" lo seguite curiosi, cercando con lui "i siensi". Sembra quasi di mordere qualcosa di fragrante leggendo questo libro. Tutti i sensi sembrano farsi più curiosi, la lettura è vividissima.
Il paesaggio è simbolico ma tangibilissimo. Ogni tanto a me è sembrato di essere in una bella storia greca.
Capossela poi usa il linguaggio in maniera potentissima. Le cose hanno un nome fiero, talvolta hanno però un nome segretissimo. Ci sono parole ibride, parole da mito.
E le prime cinquanta pagine sono volate. Ero nel libro, respiravo un'aria pulita.
E poi ho perso la pazienza.
Non che mi aspettassi un qualcosa di differente giunti a quel punto, ma avevo già letto troppo di tutto questo, sentivo pesare sulle palpebre la parole "esagerazione". Mi sono deconcentrata forse? Non lo so. So che io un libro così ho capito che non sono molto brava a reggerlo.
Lungi da me comunque dire che è brutto. Non oserei mai.
C'è in questo romanzo un'elevazione della realtà, un piano umano pieno di simboli, bellezze immaginarie, senza mai trascendere in una dimensione onirica o troppo surreale.
La ricerca dei "siensi" è un percorso, una scelta.
"Cosa vai cercando, in coscienza? Perché rovistare tra le storie degli altri, razzolare tra infanzie, senza perpetuarne di tue?". Questa cosa mi è piaciuta tantissimo. Perché è assurdamente reale. La ricerca di radici che poco a poco vanno a scomparire, lasciando tracce mistiche e riconoscibili a pochi.
Ma finire questo percorso per me è stata una fatica. Troppo, troppo. Non riuscivo più a uscirne, ma è sicuramente un problema mio. Non volevo scriverne qui sopra ma ho pensato che magari invece dovevo. Vorrei il vostro parere.